La risposta alla domanda “Come si calcola la pensione pubblica in Italia?” è: dipende. Dipende, prima di tutto, dall’anno in cui lavoratrici e lavoratori hanno iniziato a versare i contributi obbligatori, poiché nel tempo il sistema pensionistico italiano è stato oggetto di numerose riforme che ne hanno modificato in modo significativo il meccanismo di calcolo.
In questo articolo analizzeremo i tre sistemi di calcolo dell’assegno pensionistico pubblico oggi in vigore: retributivo, contributivo e misto. Vedremo nel dettaglio le caratteristiche di ciascun metodo, i criteri di accesso e i lavoratori destinatari, in base alla data di inizio della contribuzione.
Approfondiremo anche le motivazioni alla base della transizione dal retributivo al contributivo, passando per il misto, nato per accompagnare gradualmente il cambiamento.
Infine, rifletteremo sulle differenze strutturali tra il meccanismo a ripartizione, su cui si basa la previdenza pubblica, e quello a capitalizzazione individuale, adottato invece dai fondi pensione come Telemaco.
Questo confronto è cruciale, poiché la capitalizzazione si dimostra più resiliente di fronte ai cambiamenti demografici, mentre il metodo a ripartizione è sempre più sotto pressione.
Cos’è e come funziona il sistema retributivo
Per decenni, il sistema retributivo è stato il pilastro del calcolo delle pensioni in Italia. In questo modello, l’importo dell’assegno pensionistico veniva determinato in base alle retribuzioni percepite dal lavoratore negli ultimi anni di carriera, di norma più alte rispetto a quelle di inizio attività. Il meccanismo si fondava su due variabili principali:
- l’anzianità contributiva maturata;
- la media delle retribuzioni percepite negli ultimi anni, con un peso maggiore attribuito agli stipendi più recenti.
In sostanza, più elevata era la retribuzione nell’ultimo periodo lavorativo, più alta risultava la pensione. Il sistema era pensato per garantire una continuità di reddito tra la vita attiva e quella da pensionati, offrendo un assegno molto vicino all’ultimo stipendio percepito.
I limiti del retributivo: perché è stato superato
Con il passare degli anni, tuttavia, la sostenibilità finanziaria del sistema è venuta meno. A segnare una svolta in tal senso è stata la cosiddetta Riforma Dini (Legge 335/1995), che ha introdotto il metodo contributivo e avviato una transizione verso un modello previdenziale più equilibrato.
Il motivo del superamento del retributivo è legato principalmente a fattori demografici ed economici:
- l’invecchiamento della popolazione ha aumentato il numero di pensionati;
- il calo del rapporto tra lavoratori attivi e pensionati ha reso più difficile garantire la copertura delle pensioni calcolate con il metodo retributivo.
Infatti, occorre precisare che il sistema pensionistico pubblico si basa, ancora oggi, sul principio della ripartizione: ciò significa che i contributi versati oggi dai lavoratori vengono immediatamente utilizzati per pagare le pensioni dei pensionati attuali, in una logica di solidarietà intergenerazionale.
In un contesto in cui il numero di lavoratori si riduce e aumenta quello dei pensionati, questo equilibrio si è sempre più incrinato e, oggi, rischia di spezzarsi.
La fine del sistema retributivo
Con l’obiettivo di rendere più sostenibile la spesa pubblica per le pensioni, il sistema pensionistico è stato profondamente riformato. Dopo la Riforma Dini, altre riforme – tra cui la cosiddetta Legge Fornero (Legge 214/2011) – hanno accelerato l’abbandono del metodo retributivo.
Oggi il sistema retributivo non è più applicato ai nuovi lavoratori, ed è rimasto in vigore solo per chi aveva maturato almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995. Tutti gli altri rientrano nei sistemi misto o contributivo, giudicati più sostenibili per il futuro.
Cos’è e come funziona il sistema contributivo
Introdotto con la già citata Riforma Dini (Legge 335/1995), il sistema contributivo è oggi il metodo di calcolo in vigore per tutti coloro che hanno iniziato a lavorare a partire dal 1° gennaio 1996.
A differenza del sistema retributivo, il contributivo si basa su un principio di stretta corrispondenza tra quanto versato e quanto ricevuto.
Il principio alla base del contributivo: quanto versi, tanto ricevi
Nel sistema contributivo, l’importo della pensione dipende esclusivamente:
- dai contributi effettivamente versati durante tutta la carriera lavorativa;
- dai rendimenti annuali applicati al montante contributivo;
- dal coefficiente di trasformazione, che converte il montante in pensione annuale al momento dell’uscita dal lavoro.
Questo modello favorisce i lavoratori con carriere continue e retribuzioni elevate, mentre può risultare penalizzante per chi ha avuto percorsi lavorativi discontinui, part-time, contratti precari o retribuzioni medio-basse.
Il ruolo del coefficiente di trasformazione
Elemento cardine del sistema contributivo è il coefficiente di trasformazione: una percentuale che trasforma il montante contributivo accumulato in rendita annua pensionistica. Esso:
- varia in base all’età anagrafica al momento della pensione: più si ritarda il pensionamento, più alto sarà il coefficiente (e quindi l’importo della pensione);
- viene aggiornato periodicamente in funzione dell’aspettativa di vita, secondo i dati ISTAT.
In pratica, chi va in pensione più tardi riceve una pensione più alta, mentre chi lascia il lavoro in anticipo riceve un assegno più basso. Questo meccanismo incentiva il posticipo dell’uscita dal lavoro, ma può rivelarsi problematico per chi, per motivi di salute o fragilità occupazionale, non riesce a lavorare fino a un’età avanzata.
Un sistema sostenibile, ma meno generoso
Il contributivo è stato pensato per rendere sostenibile il sistema previdenziale pubblico nel lungo periodo, anche a fronte delle sfide demografiche. Tuttavia, il rovescio della medaglia è che la pensione può risultare significativamente più bassa, soprattutto per chi non riesce a costruire un montante contributivo solido.
Per questo motivo, il contributivo rende ancora più importante la pianificazione previdenziale personale, anche attraverso strumenti come la previdenza complementare, che consente di integrare l’assegno pubblico e proteggersi da possibili lacune reddituali.
Cos’è e come funziona il sistema misto
Il sistema misto nasce come modello di transizione tra il metodo retributivo e quello contributivo, per accompagnare gradualmente il passaggio verso un sistema previdenziale più sostenibile.
Introdotto dalla Riforma Dini, si applica esclusivamente a quei lavoratori che, al 31 dicembre 1995, avevano già maturato meno di 18 anni di contribuzione.
Come funziona il calcolo misto
Il sistema misto prevede una suddivisione del calcolo pensionistico in due quote:
- metodo retributivo: applicato ai contributi versati fino al 31 dicembre 1995;
- metodo contributivo: applicato ai contributi versati dal 1° gennaio 1996 in poi.
Questa formula è stata pensata per garantire maggiore equità intergenerazionale, evitando penalizzazioni eccessive per i lavoratori che si trovavano a metà del guado tra i due sistemi.
Il sistema misto si applica anche in caso di ricongiunzione contributiva, se il lavoratore non ha raggiunto i 18 anni di contributi entro il 1995, anche se provenienti da più gestioni previdenziali.
L’evoluzione dopo la Riforma Fornero
Con la Riforma Fornero del 2011, anche i lavoratori che al 31 dicembre 1995 avevano 18 o più anni di anzianità contributiva, in precedenza esclusi dal sistema misto, sono stati coinvolti. In questo caso:
- il calcolo retributivo si applica fino al 31 dicembre 2011;
- dal 1° gennaio 2012 in poi si applica il metodo contributivo.
In sintesi, dal 2012 nessun lavoratore riceve più una pensione calcolata interamente con il sistema retributivo. Tutti i trattamenti pensionistici pubblici oggi in erogazione o in prospettiva futura sono al massimo di tipo misto.
Un compromesso tra generosità e sostenibilità
Il risultato finale del sistema misto è una pensione generalmente più alta rispetto al contributivo puro, ma meno generosa del retributivo integrale. L’importo dipende dalla proporzione tra gli anni di contribuzione maturati prima e dopo il 1996 (o il 2012, nel caso dei lavoratori con più di 18 anni al 1995).
Questa modalità rappresenta un compromesso tra la necessità di contenere la spesa pubblica e quella di tutelare le aspettative maturate dai lavoratori sulla base del vecchio sistema retributivo.
Sistema a ripartizione e a capitalizzazione: un confronto
Il dibattito tra sistema a ripartizione e sistema a capitalizzazione rappresenta uno dei temi centrali nelle politiche previdenziali contemporanee, con implicazioni rilevanti sia per la sostenibilità finanziaria dei sistemi pensionistici, sia per l’adeguatezza delle prestazioni future.
Proprio per questo motivo, a partire dagli anni Novanta è stato introdotto un “secondo pilastro” previdenziale, costituito da vari attori tra cui i fondi pensione negoziali.
Come già anticipato, infatti, il sistema previdenziale pubblico italiano – che adotta i metodi di calcolo retributivo, contributivo e misto, descritti in precedenza – si basa sul principio della ripartizione. I fondi pensione, invece, operano secondo la logica della capitalizzazione individuale.
Il sistema a ripartizione: solidarietà tra generazioni
Abbiamo detto che, nel sistema a ripartizione, i contributi versati dai lavoratori attivi servono a finanziare le pensioni erogate nello stesso momento agli attuali pensionati. È un meccanismo fondato sulla solidarietà intergenerazionale: non vi è un accumulo di capitale per il singolo, ma un continuo trasferimento di risorse tra generazioni.
Questo modello presenta indubbi vantaggi in termini di immediata operatività e copertura universale, ma è fortemente sensibile ai cambiamenti demografici, in particolare all’invecchiamento della popolazione e al calo del tasso di natalità.
Il sistema a capitalizzazione: accumulo e rendimento
Al contrario, il sistema a capitalizzazione si fonda sull’accumulo di risparmi individuali. Ciò significa che il lavoratore versa dei contributi che poi gli saranno “restituiti” al momento del pensionamento.
Ogni contribuente versa contributi che vengono investiti sui mercati finanziari: i rendimenti generati concorrono a formare il montante individuale, da cui deriverà la pensione futura.
In Italia, questo modello è applicato nell’ambito della previdenza complementare, regolata dal D.Lgs. 252/2005.
Il sistema a capitalizzazione offre una risposta concreta alla sfida demografica, poiché svincola il finanziamento delle pensioni dall’equilibrio tra lavoratori e pensionati. Inoltre, consente ai lavoratori di beneficiare della crescita economica globale, e non solo di quella nazionale.
Rischi e vantaggi: una prospettiva diversificata
Un altro punto di forza della capitalizzazione è la diversificazione del rischio. Mentre il sistema a ripartizione è vulnerabile a fattori demografici ed economici interni, i fondi pensione possono spalmare gli investimenti su diverse classi di attivi, settori e aree geografiche, attenuando l’impatto di eventuali crisi locali.
Inoltre, la previdenza complementare presenta una maggiore flessibilità, trasparenza e possibilità di pianificazione individuale, permettendo di integrare l’assegno pubblico e affrontare con maggiore sicurezza le incertezze del sistema pubblico.
Le recenti innovazioni normative – come la possibilità di cumulare i contributi della previdenza complementare con quelli pubblici per il prepensionamento – hanno ulteriormente rafforzato il ruolo strategico dei fondi pensione.
Una combinazione indispensabile
In conclusione, l’adesione ai fondi pensione e la costruzione di un secondo pilastro previdenziale basato sulla capitalizzazione individuale, oggi non rappresentano più soltanto un’opportunità, ma una necessità concreta, soprattutto per i più giovani, soggetti integralmente al sistema contributivo.
La combinazione tra sistema pubblico a ripartizione e previdenza complementare a capitalizzazione costituisce, per il presente e ancor più per il futuro, la strategia più efficace per avere pensioni adeguate in un contesto demografico sempre più sfidante, distribuendo il rischio su meccanismi di finanziamento diversificati e complementari.
Messaggio promozionale riguardante forme pensionistiche complementari – prima dell’adesione leggere la Parte I ‘Le informazioni chiave per l’aderente’ e l’Appendice ‘Informativa sulla sostenibilità’, della Nota informativa.